Vi invito ad andare a guardare il video: VESTITI ED EMOZIONI
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VESTITI ED EMOZIONI
Mi sono ispirata al libro <Guardaroba> di Jane Sautiére per condividere con voi queste riflessioni sui vestiti e sulla relazione persona vestiti
A pagina novantotto l’autrice chiede <Per chi ci si veste? Non è semplicemente una questione di bellezza, di essere più bella? Di attirare uno sguardo, di sedurre …
il piacere, l’immaginario, una specie di magia legata all’abbigliamento che sarà di sicuro più capace di scaldarmi più di tutti i miei maglioni. Non serve che sia visibile, c’è…
il piacere di vestirsi sta tutto lì…non è qualcosa che si può definire, s’inventa sul momento> (p.98)
Il piacere di vestirsi (facendo riferimento alla espressione usata dall’autrice) oggi più che mai, secondo me fa parte del gioco della vita, un gioco in cui siamo tutti coinvolti, anche quando restiamo nelle nostre case.
In questo periodo in cui siamo in casa i vestiti sono uno stimolo importante nell’ancorarci alla cura di noi stessi e nell’esprimere a maggior ragione la nostra energia vitale, contro la crisi scatenata dal corona virus.
Viene facile lasciarsi andare alla comodità domestica, sempre apprezzabile, visti i ritmi di vita frenetici che sosteniamo fuori, ma ora bisogna diventare creativi nell’uso dei vestiti, per dare continuità al gioco e al fluire della vita.
Dobbiamo imparare a vestirci per noi stessi, come segnale di amor proprio, prendendo un po’ le distanze dalle indicazioni pubblicitarie, per condividere al meglio il nostro corpo con gli altri, per il piacere di avvicinarci agli altri.
Facendomi ancora guidare dalle parole dell’autrice mi viene da soffermarmi a pagina cinque in cui scrive:
“Mi succede spesso di sognare vecchi vestiti, di andare e venire in quelle storie un po’ incoerenti con abiti che credevo dimenticati” (p.5)
Abbiamo più tempo a disposizione, è possibile anche aprire gli armadi e passare in rassegna alcuni vestiti (anche in virtù del cambio di stagione) e lasciarsi andare ai collegamenti mentali con i nostri momenti di vita vissuta.
Attivare ricordi, riprendere sogni lasciati in sospeso attraverso lo sguardo posato sui vestiti fornisce la possibilità di usare la testa, di metterla in moto anche restando in casa, recuperando pezzi della nostra vita, magari per fare anche un po’ di chiarezza.
All’interno delle mura domestiche possiamo usare lo stimolo visivo del capo di abbigliamento per riflettere sulla nostra storia personale:
facendo collegamenti tra lo stile che avevamo e particolari ricordi emotivi;
distaccarci dalla figura presente per espandere riflessioni sulle relazioni di quel determinato periodo.
I vestiti sono spesso punti di riferimento per ricostruire storie che sembravano sparite dalla testa, il soffermarsi su un tessuto, su un taglio particolare permette di costruire un filo di collegamento tra i ricordi di momenti di vita passata e il proprio vissuto personale. Amici, familiari che sembravano scomparsi, riappaiono con la valenza emotiva che ha nutrito o reso affamati di affetto.
Lo stesso accade quando aprendo l’armadio i vestiti restituiscono fotografie mentali di esperienze che sembravano archiviate alla rinfusa. Invece no, ecco che quella gonna riconduce a quella sera a cena con i parenti, quella maglia al compleanno della cara amica…
Altro punto degno di nota nel libro a pagina ventuno, riguardo la relazione tra figli oramai adulti e genitori defunti.
“E’ compito mio, spetta proprio a me coprire i cadaveri dei miei genitori, sono dove devo stare, silenziosa e sola.
Armadi come tombe” (p.21)
Scegliere quell’ultimo vestito per un genitore mette di fronte alla chiusura di una relazione fisica ma non di certo mentale, quanti adulti si ritrovano a dover fare i conti con la fine della relazione, la gestione del carico emotivo del passato ed il vuoto iniziale del futuro, che prevederà un cambiamento graduale di abitudini.
Quanti dubbi si attivano nella testa dei figli: si parte dal pensare del vestito, si finisce a riflettere della relazione che si era sviluppata con il genitore, dalle aspettative mai accontentate, a quello di cui non si era mai discusso, all’autonomia che sarà utile sviluppare per gestire adeguatamente il futuro.
Inoltre, si tratta anche di gestire gli armadi che contengono i vestiti dei genitori: buttarli via dopo aver fatto pace con quello che ciascun vestito richiama alla memoria? Distruggerli per eliminare sensazioni negative che abitano dentro l’individuo e che lo fanno vivere male, come in un rituale per avere finalmente un po’ di quiete mai sperimentata?
Molto spesso i vestiti attivano l’illusione di conservare l’affetto del momento in cui sono stati indossati, ed ecco che diventa allora difficile poi liberarcene, anche quando sono lisi e distrutti. Scatta il senso di oltraggiare la memoria accesa dentro sé stessi di quando il genitore era ancora in vita.
Liberarsi di un abito viene accostato al perdere il contatto con il corpo che l’ha indossato, scatena l’angoscia di perdere quell’appiglio, quella mano che aveva guidato nelle difficoltà, quell’abbraccio che aveva accolto quando ci sentivamo smarriti.
Un’ultima riflessione per questo mio contributo, a pagina venticinque:
“Aprire un libro come si apre un armadio.
Meglio aprire un armadio come si apre un libro. Scrivere un vestito perduto, dimenticato …” (p.25)
Aggiungo io forse un libro autobiografico.
In talune donne vittime di violenza ho visto indossare vestiti abbinati malamente, trascuratezza negli orli disfatti e nelle maglie un po’ troppo slabbrate; come indice dell’impossibilità di pensare a sé stesse e di iniziare a tutelarsi.
In altre vittime, veri e propri abiti di foggia ultra-femminile a mo’ di corazze per dimostrare che andava tutto bene, era tutto paradossalmente perfetto. Abiti per coprire e per riparare quelle ferite del corpo e dell’anima che altrimenti sarebbero state visibili a tutti. Abiti conservati comunque nell’armadio.
Quando i ricordi di sé talvolta sembrano perduti, con abbinata l’impossibilità di trovare una spiegazione di quello che è successo nel passato, andando ad aprire le ante dell’armadio i vestiti attivano pezzi di vita vissuta che riempiono l’apparente vuoto e presentificano il passato per poterci lavorare sopra.
Provate a scegliere quello che ritenete essere il vestito più rappresentativo per voi stessi e poi attivate i pensieri e lasciatevi andare alle riflessioni liberamente!
Gonne pantaloni golfini maglioni t-shirt vestiti da festa cardigan camicie giacche cappotto impermeabili sciarpe. Tessuti vari, stagioni diverse.
Esistiamo attraverso i vestiti, per dialogare con il nostro corpo e con le persone che fanno parte della nostra vita.
Consiglio di riordinare il guardaroba, per riorganizzare i pensieri; partendo da elementi come i vestiti che fanno parte della vita di tutti i giorni si può arrivare davvero a prendersi cura di sé in maniera più serena ed unica.
Giovanna Ferro, psicoterapeuta associata esterna del Centro Dipendiamo