Titolo di un articolo su un quotidiano di maggio 2016 in primo Piano
Sembra che i giovani abbiano bisogno di sballarsi, vengono definiti anche adolescenti senza paura perché si bucano usando la stessa siringa e così dimostrano di non temere l’Aids. E poi continua con una generazione a rischio… I giovani sono sempre stati per definizione a rischio; però bisogna fornire loro modelli adeguati per vivere e sfidare la vita in maniera più che adeguata alla loro fascia di età. Secondo me il mondo degli adulti ha questa responsabilità nei confronti dei ragazzi di ogni epoca.
Poi si susseguono tutta una serie di spauracchi spaventevoli sull’uso di sostanze sconosciute senza neanche sapere che cosa stiano buttando giù, miscugli di erbe sconosciute, assunzione di psicofarmaci senza prescrizione medica, cui andrebbero ad aggiungersi anche gli antidolorifici.
Ma nell’articolo non si fa minimamente cenno (a parte le percentuali di diversi tipi di droghe e di psicofarmaci usati in maniera sostitutiva per non provare dolore, per non provare niente, perché così sembra che si faccia prima a vivere) al motivo per cui un ragazzo dovrebbe aver voglia di usare varie droghe e quali le responsabilità mondo adulti vs mondo figli.
Non si può semplicemente dire che la droga sia un prodotto derivante dal mercato e quindi come mi comprerei un paio di pantaloni neri, magari un po’ eleganti ed attillati, allo stesso modo mi viene da comprare anche una dose di eroina per vedere come sto e che effetto mi fa.
L’uso delle droghe deriva da mancanze nella vita delle persone, va a saturare dei bisogni che non vengono soddisfatti e che lasciano dei vuoti dentro le persone che però richiedono di essere riempiti, altrimenti la sensazione crea disagio esistenziale.
In comunità con ragazze ragazzi della mia stessa età ci ho lavorato dopo la laurea, erano ospitati in queste strutture assieme ai figli, mi sono sentita semplicemente diversa nell’uso che ero riuscita a fare delle carte del mio destino di vita …
Molti genitori di questi ragazzi sono talmente spaventati da quello che vedono nei figli e che non capiscono, che tendono a delegare il figlio in toto allo psicologo, senza però magari passare dalle strutture pubbliche, perchè poi pensano si venga schedati. Ma perché a loro volta nel diventare grandi hanno dovuto fare da soli, diventati precocemente grandi senza rapporti e possibilità di appoggiarsi su altri, si rendono conto che il figlio non funziona, sta male, ma temono di dover tirare fuori il dolore che hanno sepolto dentro, e quindi dirottano il figlio verso qualcuno che li aiuti perché loro non si sentono in grado.
<Una ricostruzione della “storia emotiva” della famiglia> attraverso una analisi dell’incontro tra le difficoltà dei genitori e quelle dei loro figli, permetterebbe di analizzare l’uso di droghe in una ottica che passa dalle diverse generazioni attraverso un percorso di <causalità complessa che tiene conto di una molteplicità di elementi: educativi, cognitivi, emotivi, relazionali e sociali> <Offre a ognuno dei membri della famiglia la possibilità di considerarsi parte di un sistema sofferente> su cui è possibile intervenire per modificare la gestione della vita quotidiana, anche se all’inizio non è per niente facile. <Alleggerisce il peso delle responsabilità individuali favorendo una migliore collaborazione alla terapia> <toglie alla tossicodipendenza l’etichetta di malattia della volontà che gli è spesso attribuita>; <la ricostruzione per esser efficace deve svolgersi in una cornice non colpevolizzante per alcuno …come processi che sfuggono al controllo razionale e al potere diretto dei protagonisti (p.165-6 La famiglia del tossicodipendent,e S.CirilloR.Berrini G.Cambiaso, R. Mazza, Raffaello CortinaEditore).
Si può fare qualcosa, i genitori fondamentalmente non devono sentirsi giudicati se i figli stanno male ed i figli non devono sentirsi etichettati come quelli che non funzionano e che non stanno dentro le griglie di riuscita sociale culturale. Bisogna accettare di essere imperfetti…