L’idea mi piace: mi sembra un modo utile per non disperdere il sapere accumulato come essere umano dal singolo lavoratore durante la vita lavorativa.
Quanto di umano si possa vivere sul lavoro, come la persona si immerga e venga coinvolta come essere umano in un mondo che l’umanità spesso la perde.
Personalmente credo che la dimensione prettamente umana sul lavoro sia poco considerata, si mira sempre a raggiungere un risultato, un obiettivo, che sembra una meta altra separata da tutto e da tutti.
Ma poi la soddisfazione lavorativa che cosa sarebbe? Non è solo il profitto economico del contesto lavorativo (azienda, capo superiore, etc etc). Dovrebbe trasformarsi e crearsi nel riconoscimento, nell’affetto e nella stima nei confronti di chi lavora, ha lavorato o lavorerà.
Alle aziende ed ai superiori sembra che non gliene freghi niente se i dipendenti funzionano; viene dato per scontato. Un lavoratore soddisfatto è un volano verso l’infinito, che non si fermerà mai nel produrre felicità per tutti.
Sono riuscita anni fa ad aprire uno sportello per i dipendenti per un ente pubblico. Punto di ascolto per i lavoratori in cui riportare, riversare il loro malcontento lavorativo, inerente le relazioni interpersonali, le difficoltà e di punti critici, affrontare e gestire il disagio lavorativo. Ma forse i dipendenti stessi non si sentivano loro stessi per primi in diritto di affrontare il loro malessere; ed una volta trasferito il referente, particolarmente illuminato, dell’Ente , tutto si è dissolto. Sembra spesso che le iniziative valide succedano per caso ed attecchiscano solo se le congiunture astrali sono particolarmente positive, al di là dei finanziamenti possibili.
“Lo stagista inaspettato”, film del 2015, con Robert De Niro nel ruolo di: <Ben, pensionato settantenne e vedovo, che le ha provate tutte per ingannare il tempo, ma non riesce a rimanere senza amore né lavoro. Decide così di ripartire dalla gavetta, approfittando di un insolito programma di stagisti senior promosso dalla start-up About The Fit, un e-commerce di abbigliamento>, è un ottimo esempio di come non perdere il proprio valore personale, nonostante una sorta di nebbia mentale avvolga tutti quanti.
Lo stagista senior potrebbe divenire un ottimo ponte per attraversare un intervallo generazionale – particolarmente zona ambigua – nel mondo del lavoro.
Non per rinsegnare solo a far cose, ma per il bagaglio emotivo e mentale che altrimenti andrebbe perduto per sempre, perché mi sembra non esistano manuali che raccolgano le emozioni ed il vissuto di chi è giunto alla fine della sua vita lavorativa, le testimonianze di chi ha passato la maggior parte della sua vita impegnato ed impregnato di lavoro.
Anche i giovani che ancora devono inserirsi nel mondo del lavoro potrebbero beneficiare di una trasmissione intergenerazionale di contenuti umani/lavorativi, per costruire la loro mente con confini validi. Troverebbero finalmente una chiave per interpretare un mondo, quello del lavoro, che altrimenti rischia di svuotarli, deprivarli di energia umana e di trasfigurarli in qualcosa di non definito, invece di investire proficuamente sul loro futuro.