Sprazzi di vita vissuta: La mirabolante storia di Marea
di Mauro Selis*
Parte prima: infanzia e adolescenza
Un silenzio di pietra permeava il nostro colloquio. Lei con sguardo fisso verso il basso e braccia conserte in forma difensiva. Io a scrutare il suo viso invitandola a raccontare, liberamente, qualcosa di sé, qualunque cosa desiderasse esternare….
“Il mio nome è Marea, un movimento che va e che viene come la mia incredibile storia”, così esordì la donna alzando di poco gli occhi, umidi di pianto, verso me.
” Se ci sei Dio perché non mi hai ascoltata? “ “Lord of the starfields/Ancient of Days/
universe maker/here’s a song in your praise …Signore dei campi stellati/ Dio/ creatore dell’universo/ ecco una canzone nella tua lode”
( Bruce Cockburn: Lord of the starfields)
N.B: Ancient of Days sta a indicare Dio nel libro biblico di Daniele presente nell’Antico Testamento.
Se ripenso a ciò che mi è accaduto: “Ma c’halon a zo frailhet, dre nerzh ma enkrezioù/Ma daoulagad entanet n’o deus mui a zaeloù….Il mio cuore è rotto dalla forza della mia angoscia/ I miei occhi gonfi non hanno più lacrime” (Alan Stivell: Kimiad).
“ Io per l’anagrafe sarei nata il giorno dei Santi di cinquantasei anni fa, ma di fatto quella bambina di nome Maria è morta in un mattino di Primavera di tre anni dopo. In un impatto tremendo. Un frontale sulla Savona-Torino, autostrada maledetta che prima del raddoppio aveva causato già tanti incidenti con svariate vittime, tra di esse i miei genitori. Questo mi ha segnato la vita e quando ho raggiunto l’età della comprensione ho deciso, modificando una vocale, di farmi chiamare Marea ..da tutti!!” “The tide will rise/And the tide will fall/We’ll be out on the water/Before the break of dawn…. La marea salirà/E la marea scenderà/Saremo fuori dall’acqua/ Prima che sorga l’alba”.( Bruce Hornsby: The tide will rise).
“Non comprendo perché la sorte mi fece uscire illesa da quella ecatombe di tre auto aggrovigliate, mi ritrovai orfana e nulla ricordo dei miei genitori, solo ombre proiettate dalla narrazione degli altri che li avevano conosciuti”. Le passai un fazzoletto di carta per asciugare le lacrime e lei riprese il racconto, mostrandomi una fotografia –invero un po’ sfuocata- di un momento di gioia. “ Noi tre al mio battesimo, guardi che bel sorriso mia madre, erano raggianti “Happiness is near and happiness is here…La felicità è vicina e la felicità è qui” ( BLK JKS: Lakeside).
“Per quello che ho passato, dovrei essere una donna cattiva –proseguì Marea con tono più sereno- ma al contrario mi reputo sensibile e generosa. Dopo l’incidente mi affidarono alla sorella maggiore di mia madre che non aveva figli. Ero una bambina molto vivace e irrequieta, così quel “tollerante” uomo di mio zio decise che il luogo migliore affinché imparassi la disciplina potesse essere un collegio di suore. Nonostante i miei abbondanti pianti fui obbligata a ubbidire, persino alle suore che gestivano la struttura. Non mi era facile accondiscendere a ogni loro ordine, dovevo comunque mangiare e non disubbidendo lo potevo fare. Tra le incombenze che continuamente mi affidavano c’era quella di dovermi occupare dei bambini più piccoli. Avevo nove anni e dovevo già cambiare pannolini, imboccarli, metterli a letto, fargli il bagnetto, insomma non erano certo compiti adatti per una bambina della mia età!! Quelle donne mi mettevano in castigo sia quando commettevo qualcosa che non andava fatto come rubare i biscotti, toglierle il velo o quando sotto le loro lenzuola ponevo delle uova fresche, sia quando non facevo nulla e per ogni malefatta dovevano trovare un colpevole per forza, ero il capro espiatorio perfetto: Maria la dispettosa!” “I don’t mind the punishment/if i had been guilty of the crime/didn’t mind the punishment baby/if i had been guilty of the crime/Ten years of grief and torutre cause me to lose my mind… non mi dà fastidio la punizione/se fossi stato colpevole del crimine/non m’importa della punizione baby/se fossi stato colpevole del crimine/dieci anni di dolore e di tormento mi fanno perdere la testa”
(T-Bone Walker: Doin’time ).
Marea era, sic et simpliciter, “un fiume” in piena di parole. Proseguì con decisione: “Ricordo quella volta in refettorio un bambino che, con malignità, mi aveva urlato che nessuno mi sarebbe mai venuto a trovare perché i miei genitori erano morti. Arrabbiata come non mai, presi la ciotola del minestrone e gliela rovesciai in testa. La suora “guardiana”, riprendendomi duramente, mi castigò ancora una volta , mandandomi a letto senza cena. Rammento anche, con spietato gusto, uno scherzo fatto alla Madre Superiore, una donna dall’apparenza integerrima ma peccatrice di gola. Era solita imboscarsi in camera gli omaggi dolciari che alcuni cittadini- di buon cuore- ci portavano. La “Madre” , era fobica per i rettili, così una sera le misi tra le coperte una serpe finta di plastica. Si impaurì e si arrabbiò a tal punto che mi mise in castigo lasciandomi – in ginocchio- sui ceci per un ora abbondante, che dolore!! Nessuna punizione avrebbe potuto bloccare la mia irruenza di bambina che voleva, in qualche misura , vendicarsi dei soprusi psicologici di quelle persone. Una domanda ancor oggi mi sorge spontanea: come mai quelle donne con il velo, spose del Signore, ce l’avevano sempre con me? In fondo ero solamente una ragazzina, un po’ iperattiva, che amava tantissimo la vita. Mi sentivo sola e sempre messa da parte, ma un sorriso l’avevo per tutti, nonostante la tanta amarezza nell’animo. “I walk a lonely road/the only one that i have ever know/don’t know where it goes/but it’s home to me and i walk alone/i walk this empty street/on the boulevard of broken dreams/where the city sleeps/and i’m the only one and i walk alone…. Cammino lungo una strada solitaria/l’unica che io abbia conosciuto/non so dove porta/ ma sono a casa e cammino da sola/cammino lungo questa strada vuota /sul viale dei sogni infranti/dove la città dorme/e io sono l’unica e cammino da sola”( Green Day: Boulevard of broken dreams ).
Rimasi in quell’ istituto fino all’età di quindici anni. I miei zii non mi vollero più e fui inserita in una famiglia affidataria. Questa coppia era estremamente severa, di fatto mi faceva lavorare come collaboratrice domestica e non mi trattava come una figlia. Probabilmente pensavano di aver assunto una colf non di aver “adottato” una ragazza! L’uomo, in realtà, era succube di quella che avrebbe dovuto fare le veci di una madre, era lei che teneva le redini della situazione e che mi trattava da vera sguattera. Appariva completamente anaffettiva, anche se con gli operatori sociali sembrava un angioletto. Mi trattava male, con poco rispetto. Un giorno mi ferì dicendomi che ero solo un orfanella e quindi dovevo stare zitta e fare i lavori e reputarmi fortunata che avevo un tetto sulla testa e cibo in abbondanza. Resistetti un paio d’anni, poi un giorno d’estate, seppur ancora minorenne, decisi di scappare via da quel lager. Quella che avrei dovuto chiamare mamma, non vedendomi rientrare a casa, decise di interpellare i carabinieri. Mi ritrovarono poco lontano, sola, seduta su una panchina. Rivelai loro che non volevo tornare dalla coppia affidataria . A questo punto le forze dell’ordine contattarono le Assistenti Sociali per approfondire la questione. Piangevo a dirotto, implorando di non farmi ritornare dalla famiglia precedente. Le operatrici mi portarono con loro. La madre affidataria, intervenuta sulla scena per riportarmi a casa, dopo alcune lodi iniziali, iniziò a denigrarmi per farmi sentire in colpa…”Deliver me from those feverish eyes/That threaten to unbalance my state of mind/For I must confess only to the smallest of crimes/A sense of guilt…Liberami da quegli occhi febbrili/che minacciano di squilibrare il mio stato d’animo/Perché devo confessare solo il più piccolo dei crimini/Un senso di colpa”.
( Dead Can Dance: The trial).
Era veramente perfida! Avrei voluto popolare i suoi incubi per farla bere alla fonte dell’aridità, ma ora l’ho perdonata, so che è morta male! Le operatrici mi affidarono a un altro istituto, nel centro storico della città, chiamato “Casa della Ragazza”. In quella struttura ho trascorso gli ultimi mesi fino al compimento della maggiore età. Pensavo che una volta superata l’adolescenza, la vita mi avrebbe potuto sorridere come un magnifico sole primaverile, invece non fu cosi. I miei guai continuarono, anzi furono ancora più intensi. Tutt’intorno alla struttura, nei vicoli era un pullulare di gente balorda, pervertita e di malaffare. Una volta che passai per quelle strade per comprare oggetti personali, un brutto ceffo mi fermò e mi disse” Se vuoi guadagnare tanti bei soldini io ho il lavoro che fa per te!!!” , ebbi paura e spaventata me la diedi a gambe spiegate. Un’altra volta che ero in quella zona, furono le stesse prostitute e i travestiti a difendermi dalle avances di quei tizi senza scrupoli. “Prima di toccarla devi passare sul mio cadavere” disse quella donna di marciapiede al brutto ceffo che continuava ad importunarmi. “Nei quartieri dove il sole del buon Dio non da i suoi raggi/ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi/ una bimba canta la canzone antica della donnaccia/quel che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia”.( Fabrizio De Andrè: La città vecchia).
Seconda parte: tossicodipendenza
“La vita è come la marea/ti porta in secca o in alto mare/com’è la luna va” (Gianni Morandi: Uno su mille)
Appena maggiorenne, uscii dalla “mia casa” con una valigetta marrone che conteneva i miei pochi vestiti e in tasca qualche soldino, erano i tempi della lira.
“Move yourself/you always live your life/never thinking of the future/prove yourself/you are the move/ you make take your chances/ win or loser…Muoviti,/vivi sempre la tua vita/senza mai pensare al futuro/mettiti alla prova/tu sei le mosse che fai/cogli le possibilità/vinci oppure sei un perdente”(Yes: Owner of a lonely heart).
Mentre aspettavo il pullman, per una meta che non avevo totalmente in mente in quanto non sapevo dove potessi andare, si fermò -dinnanzi a me- un macchina di grossa cilindrata con i vetri scuri. Dall’auto scese un energumeno che mi ordinò di salire in macchina. Io risposi “no, io non salgo”. Lui, indispettito dal mio diniego, mi prese il braccio destro con prepotenza. Io reagì urlandogli sul suo brutto muso : “le mani te le puoi mettere nel c… e poi fischi!!!”. Dentro all’auto c’era un uomo, non più giovane e molto elegante, era probabilmente il capo del tipaccio. Alla mia reazione, lui mi sorrise con stupore e disse al suo scagnozzo di non “toccarmi” mai più. Mi domandò come mi chiamassi, “Marea” gli risposi. Mi strinse la mano dicendomi: “tu sei una ragazza coraggiosa!, ti auguro ogni bene per la vita; che ti possa emancipare da questa cultura maschilista: ciao Marea”.
“ Io vorrei che tu… / che tu avessi qualcosa da dire / che parlassi di più / che provassi una volta a reagire / ribellandoti / a quell’eterno incanto / per vederti / lottare contro chi / ti vuole così / innocente e banale / donna! / donna sempre uguale / donna per non capire / donna… / donna per uscire / donna da sposare…”.
(Vasco Rossi: ..E poi mi parli di una vita insieme”).
Dette queste parole, salì sull’ auto che si allontanò velocemente. Io rimasi in attesa del mezzo pubblico. Poco dopo arrivò un autobus che mi condusse verso un nuovo luogo. Affittai una stanzetta da una signora anziana, scorbutica ma inoffensiva. In quella località, ove il vento spira sempre intensamente, iniziai a lavorare in un bar/pub. I due proprietari del locale, Max e Pino, erano molto generosi e disponibili, non mi assillavano, lasciandomi piena libertà di gestire il lavoro. Ero contenta e mi impegnavo moltissimo. Nel frattempo, conobbi un ragazzo: Alessandro il suo nome.
“Troppo cerebrale per capire che si può stare bene senza calpestare il cuore” (Samuele Bersani: Giudizi Universali).
Poi Ferdinando -detto Ferdy- un avvenente giovane avventore del bar mi adocchiò e così mi fidanzai. Una persona ossessionata dal sesso ma in fondo era un buono, non come Antonio un uomo maturo di cui mi invaghì stupidamente e mi ritrovai -suggestionata- a essere un fuscello d’imbarcazione tra marosi perigliosi. A causa di questa relazione sentimentale -poco adeguata -con una persona altamente disturbata -seguita dal Servizio di Salute Mentale per episodi paranoici gravi- cominciai a regredire e a comportarmi sempre più da “tossicofilica “ con aumento dell’uso dell’alcool e “pippate” sempre più frequenti di cocaina.
“What you get and what you see/Things that don’t come easily/Feeling happy in my vein/Icicles within my brain/Cocaine… Cosa ottieni e cosa vedi/Le cose che non vengono facilmente/Mi sento felice nel mio dolore/Un ghiacciolo nel mio cervello/Cocaina” (Black Sabbath: Snowblind).
L’asse “ bevo vino….consumo coca” – soprattutto in ore notturne – si potenziava e consolidava. Era un rapporto burrascoso quello con il nuovo compagno , liti feroci e festini con sostanze stupefacenti sempre più frequenti. “Questo è il mio delirio, una droga che ogni giorno mi spinge” (Aelementi: Delirio).
Andai ad abitare da lui e penetrai in un meccanismo perverso di uso quotidiano di sostanze stupefacenti per dare spazio alle immagini dell’anima. Non ce la feci a mantenere il lavoro al bar, ero troppo fatta! “Giorni che s’inseguono sempre tutti uguali/lasciano nell’anima un grande vuoto” (Sintesi del viaggio di Es: Il patto non scritto).
Max e Pino tentarono di aiutarmi ma non ci fu verso. Antonio li minacciò e loro si misero- con mestizia- da parte. Divenni merce di scambio per spacciatori senza scrupoli! Ogni parte del mio corpo violata per qualche grammo di polvere bianca.
Ho visto il mondo in una striscia/avvolto dalla paranoia della sorte/ Ho visto il festoso totem della coca/ illuminare il sentiero della morte/ Ho visto gente frantumata/ in un amen di freddezza./Ho visto iracondi spettri/tramare contro la dolcezza./Ho visto il ricordo del piacere/impadronirsi del mio cervello/Ho visto tenebrose fauci/dilaniare carni in un macello/Son granelli di polvere bianca le mie azioni/Son cristalli di purezza tritata i miei pensieri/Sono pezzi di psiche intrecciata i miei passi/ Ma dove s’avvolge la mia vita?
La mia esistenza non aveva più un senso o meglio l’aveva solo in percorsi di tossicodipendenza. Ne avevo passate tante , ma in questo spazzo di vita mi era difficile contrastare l’energico fragore dell’alta “marea” che devasta l’autostima.
Sentivo che la vita si stava assottigliando come una matita lacerata dal temperino.
Era una mattina estiva, mi svegliai tutta “devastata” dopo l’ennesima nottata di bagordi e lacerazioni fisiche e morali. Antonio non era in casa. Sentendo che la situazione stava precipitando, lo feci anch’io…Mi gettai dal terrazzino del terzo piano, fratturandomi un po’ in tutto il corpo e rimanendo tre mesi ricoverata, dapprima in Ospedale e poi in una struttura per la riabilitazione fisioterapica.
Per la dinamica dell’accaduto non mi feci quasi nulla, dissero che ero una miracolata, un angelo o qualcosa di sovrannaturale mi aveva salvato o preservato ..per qualcosa d’importante, ora ne ero sicura. “Ah si vivesse solo di inizi, di eccitazioni da prima volta/quando tutto ti sorprende e nulla ti appartiene ancora”( Niccolò Fabi: Costruire ).
Questo mi aiutò a cambiare vita anche se certi episodi dolorosi non possono che riecheggiare nel tempo come increspature in uno specchio d’acqua. “Don’t you think it’s time you go for a change?/ Don’t waste your time on the past/ It’s time you look to the future/ it’s all right there if you ask/ This time you could try much harder/ you’ll be the best that you can be…Non pensi che sia ora di cambiare?/ Non sprecare il tuo tempo nel passato/ È tempo di guardare al futuro/ è tutto lì se lo chiedi/ Questa volta potresti provarci molto più duramente/ sarai la migliore che tu possa essere”(Michael Jackson: On the line).
Ringrazio di cuore Mauro Selis per aver accettato l’invito a condividere la sua Storia sul mio blog!
* Mauro Selis, savonese, classe 1961, Psicologo-Psicoterapeuta, accanito musicofilo con un proprio blog dedicato al rock progressive www.progressivedelnuovomillennio.blogspot.it. Redattore di MAT 2020 ( www.mat2020.com/home.html ), web magazine musicale per cui cura due rubriche fisse: New Millennium Prog e Psycomusicology in cui narra storie cliniche romanzate con l’ausilio dei testi di canzoni.