C’era una stretta porta di legno nella casa di zia Maria, si apriva su strette e ripide scale, anch’esse di legno, che portavano all’abbaino sul tetto che fungeva anche da terrazza. Mi piaceva molto andare lassù e mi vedo lì, nei clementi inverni del sud, con mia zia intenta ad accendere la carbonella nel piccolo braciere di terracotta poggiato sul pavimento, noi sedute su seggioline impagliate soffiare col ventaglio per attivare la fiammella e finalmente, quando rosseggiavano le braci, mettervi le bucce disseccate d’arancia. Si sprigionava un aroma buonissimo che riempiva la piccola stanza e completava l’atmosfera intima e serena di quel rito serale.
Intorno c’erano, appesi alle pareti, le scorte per cucinare in modo semplice e sano: l’origano, le cipolle, l’aglio; in un angolo la damigiana con l’olio e poi ceste, bottiglie, oggetti non più in uso ma, chissà, forse potevano servire ancora. Un po’ di fumo sprigionato dal braciere era l’occasione per aprire la porticina e ventilare l’ambiente: allora uscire sul terrazzo era un affacciarsi sul cielo stellato che si fondeva con i luccichii delle lampare sul mare.
Poi il clan familiare si trasferì nei nuovi appartamenti del nuovo quartiere, via dal centro storico e dalle vecchie case, via dalla gente semplice, via dal panorama mozzafiato. Zia Maria si pentì molto presto di quella scelta, rimpiangeva con brevi frasi smozzicate dall’emozione la sua terrazza sostituita da un balcone, il suo braciere sostituito dal riscaldamento centralizzato, la vista splendida sul mare sparita.
Quando le vecchie case furono ristrutturate la terrazza fantastica non c’era più.
Tornai dopo vari decenni al paese e non potevo accettare che quella parte della mia vita non avesse più il luogo dove in parte si era svolta. Ora, da lontano, i ricordi ricostruiscono quel che non c’è e mi piace pensare che in effetti da qualche angolo dello spazio astrale quella casa, quella vita, quei momenti, si possano individuare e osservare, basta essere alla giusta distanza, forse sarebbe sufficiente posizionarsi ai confini del nostro sistema solare o poco oltre…. Se ci arriva ancora la luce di stelle ormai scomparse da lunghissimo tempo, da qualche parte si potrebbe quindi osservare il nostro piccolo pianeta com’era cinquanta cento mille anni fa e vedere anche coloro che in quei tempi trascorsi vi hanno vissuto: da quella possibile finestra sul passato mi piace pensare che quel che è stato c’è ancora..
Lo spazio – tempo è formato da curve di energia che stiamo cercando di comprendere, è qualcosa che ci affascina anche per la sua apparente incongruità. La protagonista dell’ultimo film di Tornatore “La corrispondenza”, laureanda in astrofisica, dice appunto che noi apprendiamo l’esistenza di una stella quando quella esplode e la sua energia arriva fino a noi da distanze inimmaginabili: vediamo oggi un evento accaduto quando l’umanità era alla sua preistoria.. Per questa ed altre ragioni scientifico-sentimentali, continuerà a inviare messaggi al suo amato scomparso nella sua morte fisica ma ancora presente in una realtà virtuale, fatta di pixel e onde herziane che, loro sì, viaggiano nello spazio e rimbalzano nel tempo, perciò chissà…
Ma, se davvero nulla finisce veramente, allora oltre a ciò che vorremmo ancora , continueremmo ad osservare anche il male! Come sopportarlo quando non si riesce a guardare tutto il male presente? No, meglio lasciar perdere, meglio lasciare che il passato sia tale e risalga solo dal filtro della memoria che, con l’avanzare dell’età, diventa sempre più selettiva e protettrice. Viviamo il qui e ora, onoriamolo e applichiamo ciò che abbiamo appreso dalle lezioni della nostra storia.
“Lo ieri è passato; il futuro è un mistero; l’oggi è un dono, per questo alcuni lo chiamano presente” (Dal primo film “Kung Fu Panda”)
Scritto gentilmente da Licia e fotografato da Donatella: grazie ad entrambe!