Non di solo pane
Viene pesato ogni giorno, ma quasi mai soppesato. Il pane, tutti ci hanno a che fare, ma pochi si soffermano a esaminarlo.
(Tratto dall’introduzione della tesi di Dafne Peluffo, che ringrazio infinitamente, per avermi ceduto questa parte per il mio blog!)
Nella storia dei popoli mediterranei il pane ha rivestito un ruolo di fondamentale importanza sia per la sua valenza di cibo sia per il significato che ad esso si attribuiva…
Questo alimento non esiste in natura esso è il simbolo del lavoro, della fatica dell’uomo nello sforzo di dominare la natura; Il pane è il frutto fecondo del lavoro che l’uomo ha svolto sul grano, definito da F,Braudel “pianta della civiltà”. Esso non si trova in natura e non è specifico degli animali: è il frutto della composizione e lavorazione di più elementi che comportano un lungo processo di produzione. È, dunque, il simbolo per eccellenza del lavoro e della fatica dell’uomo, una conquista a prezzo di sacrificio, il risultato di una precisa volontà, di un metodo; è il prodotto finito di una serie di operazioni finalizzate ad ottenerlo.
Il pane è il nutrimento tipico dell’uomo mediterraneo, le sue radici si perdono nella notte dei tempi, come afferma Ippocrate: “il pane appartiene alla mitologia”. Il pane racchiude in sé tutto il simbolismo del grano e della spiga che nasce dalla terra, cresce, viene mietuta e reca i germi della vita futura.
I culti misterici eleusini che, si svilupparono in Grecia a partire dal VII sec a.C. testimoniano l’importanza simbolica che il grano assunse all’interno delle civiltà antiche. Demetra, divinità della “madre terra” e del grano che vi cresce sopra, delle piante e delle biade è una figura chiave all’interno dei misteri eleusini. L’emblema di Demetra era la spiga di grano: nel grembo della terra essa racchiude ciò che è morto e da lì fa crescere nuova vita. Fu lei a concedere all’umanità doni sublimi: i frutti della terra dalla quale proviene l’agricoltura che, con la fondazione del vivere civile e l’iniziazione, fa accedere l’uomo all’immortalità, ben rappresentata dal rinnovamento ciclico delle specie coltivate. La storia sacra di Eleusi, che condusse all’istituzione delle festività religiose, ci viene narrata in un Inno a Demetra, risalente al VII secolo a.C. Esso fa parte dei cosiddetti Inni Omerici, componimenti anonimi in stile omerico, che venivano proclamati dai rapsodi durante le festività religiose.
Il componimento inizia con una scena idilliaca. Persefone (Proserpina per i latini) – per il pubblico greco detta anche Core –, figlia di Demetra, viene rapita da Ade, il dio degli inferi, a cui l’ha promessa Zeus, padre della fanciulla e fratello del signore degli inferi. La madre ode il lamento della figlia e si mette alla sua ricerca, oppressa dal dolore e dalla pena. Per nove giorni vaga per il mondo, senza mangiare e senza bere. Finalmente, dopo nove giorni, viene a sapere dal dio del sole Helios che Ade ha rapito la figlia portandola nel regno delle ombre. Helios consiglia alla dea di placare la sua grande ira e il suo strazio: il fratello di Zeus non è certo un genero disprezzabile. Quando i tre maggiori dei si spartirono il mondo, egli ne ricevette un terzo, gli Inferi, e i suoi sudditi sono davvero infiniti.
Demetra ascolta il consiglio, ma il suo cuore è ricolmo di un dolore profondo e struggente: decide così di abbandonare l’Olimpo. Assunto l’aspetto di una vecchia, la dea si reca nella città degli uomini. Afflitta e sfinita, decide infine di riposarsi presso una fonte ad Eleusi, dove incontra le figlie del re del posto, Celeo, che le procurano un lavoro a palazzo come nutrice del figlio del re, Demofoonte. Demetra si reca a palazzo, maestosa nonostante il travestimento, e si siede in disparte su uno sgabello. Qui resta a capo coperto in preda al suo dolore, silenziosa, rifiuta il vino che le viene offerto e si fa portare il kykeon, una bevanda di succo di orzo e menta. Come nutrice, la dea si prende cura del figlio del re, che cresce come un fanciullo divino. Di notte lo mette di nascosto nel fuoco per renderlo immortale. Tuttavia, una sera viene sorpresa dalla madre del fanciullo, che prorompe in forti lamenti. La dea adirata interrompe la sua opera e si fa riconoscere.
La popolazione si accinge subito a costruire il tempio che, con l’aiuto divino, progredisce velocemente. La dea risiede nel tempio dove piange senza interruzione la perdita della figlia. Lascia inaridire i campi, i semi non germogliano, la carestia si diffonde. Zeus convoca Demetra ma la dea non risponde. Non metterà più piede nell’Olimpo e non lascerà più germogliare frutti dalla terra, finché sua figlia non sarà di fronte a lei. Allora Zeus invia al fratello Ade un messaggio invitandola a restituire Persefone: Ade accetta e annuncia alla sposa, addolorata per la nostalgia della madre, il loro prossimo ricongiungimento.
Persefone subito smette di versare lacrime e Ade la aiuta a salire sul carro pronto per il viaggio. Tuttavia, prime di farla salire le offre un chicco di melagrana. Ad Eleusi, madre e figlia si abbandonano alla felicità, ma quando Demetra scopre che la figlia ha preso cibo nell’Ade, le spiega che ella non potrà restare per sempre nel mondo dei vivi. Dovrà trascorrere un terzo dell’anno nel mondo dei morti, ma durante gli altri due terzi potrà restare accanto alla madre.
Zeus invia la madre Rea a placare definitivamente Demetra. La nobile dea scende sulla terra, sulla piana Riaria, un tempo vero e proprio granaio ma oramai luogo triste e inaridito. Rea comunica a Demetra che Zeus accetta che la figlia trascorra due terzi dell’anno con la madre, ma in cambio vuole che Demetra lasci crescere ancora le messi per il nutrimento degli uomini. La dea ubbidisce e immediatamente sulla terra riprendono la crescita e la fioritura. Demetra prima di lasciare Eleusi iniziò ai misteri i re e i nobili di Eleusi, Celeo, Trittolemo ed Eumolpo. A Trittolemo, inoltre, diede semi di grano, un aratro di legno e un cocchio trinato da serpenti, e lo mandò per il mondo a insegnare l’agricoltura. Il tempio di Eleusi divenne il centro del culto di Demetra. Su un rilievo trovato a Eleusi è raffigurato il giovane Trittolemo, che riceve da Demetra la spiga del grano, mentre sull’altro lato Core-Persefone porta una torcia e tiene sollevata sulla testa del giovane una ghirlanda.
La rinascita dalla morte rappresenta il nucleo centrale dei misteri eleusini. Demetra cerca di negare la morte conferendo l’immortalità a Demofoonte, il figlio di Celeo; in seguito adirata per la perdita di Persefone, rende il mondo arido e secco. Infine, riesce a guarire l’universo con l’ininterrotto, incessante e perpetuo ciclo di morte e rinascita. Il dio greco è, quindi, ordinatore, non creatore: pone ordine nel caos, “traccia limiti e confini risuggellando l’illimitato indeterminato entro precise strutture ordinate”. In questo senso, esso è presente nella Natura come sua forma, essere o essenza: rappresenta la sacralità della Natura, la quale, senza mai perdere i venerabili contorni del divino, si eleva nella sua condizione di realtà sensibile e intellegibile.
I misteri eleusini divennero molto importanti in Grecia, le celebrazioni dei Grandi misteri duravano nove giorni, duranti i quali in Grecia si interrompevano tutte le azioni di guerra e regnava la “pace divina”. Gli uomini e le donne che partecipavano all’iniziazione dei Grandi misteri, da mystes diventavano epoptes, in queste parole è racchiuso il nucleo dei misteri eleusini. Il mystes, infatti, è “colui che tiene gli occhi chiusi” in opposizione all’epoptes “colui che tiene gli occhi aperti”.
Dopo l’iniziazione il myste è un uomo-nuovo, un uomo che si è “ritrovato”, come madre e figlia, e ha la speranza in una nuova vita che gli viene donata dalla divinità. L’anima dell’iniziato non è destinata a diventare una delle tristi ombre del cupo regno di morti, ma è invece chiamata a un’esistenza superiore che non ha termine neppure con la morte.
Il nucleo centrale dei misteri eleusini è la rinascita dalla morte: “I novizi, morti al mondo terreno, percorrono il mondo infero per poi rinascere al mondo sacro. Quindi anche il “miracolo” di Demetra, ossia il ciclo delle continue morti e rinascite, appartiene inesorabilmente alla sacralità e divinità della natura che per essere vita deve sempre passare attraverso la morte dalla quale apparirà nuova esistenza. Per i misteri di Eleusi la terra non è soltanto la dimora dei morti, ma è anche la riserva inestinguibile di cibo, il segreto dell’alternarsi di vita e di morte, che rendeva partecipe l’iniziato dell’intero universo”.