LAVORO, O MEGLIO LA MANCANZA DI LAVORO
Il lavoro ai tempi di Covid19, o meglio la mancanza di lavoro credo sia un problema davvero gigantesco. Prima di tutto perché non ci sono soluzioni applicabili istantaneamente, il mondo del lavoro è stato stravolto dal coronavirus. Inoltre, non è possibile neanche pensare a breve ad un nuovo scenario.
Tutti, troppi purtroppo, coloro che hanno perso il lavoro a breve manifesteranno giustamente il loro disagio in maniera dirompente e violenta. È davvero difficile pensare ad un uomo che è senza lavoro, ha fame, deve sostenersi e deve provvedere ad una famiglia, e che esprimerà con rabbia esplosiva il suo stato. Molti di noi non ci vogliono neanche pensare, oppure pensano di esserne immuni.
Inoltre, le implicazioni sulla vita delle persone di natura non economica sono ancora più difficilmente gestibili. Non essendo diffusa l’abitudine di pensare allo stato mentale ed affettivo delle persone in riferimento al lavoro o alla sua assenza diventa difficile capire come inquadrare la questione.
Lo psicologo del lavoro esiste solo in alcune grandi aziende, società di consulenza e formazione aziendale. Nei centri per l’impiego non so attualmente quanto siano gli psicologi che affiancano le persone alla ricerca del lavoro, nel senso di essere aiutati a livello psicologico a lavorare sul proprio curriculum e sul proprio progetto lavorativo. L’orientamento professionale nelle scuole e nelle università non è diffuso in larga scala; quindi … sarà una tragedia.
Ogni tanto mentre penso e scrivo mi trovo catapultata nella mia specializzazione in psicologia del lavoro e delle organizzazioni; credo che da lì derivi la mia attuale necessità di affrontare il tema del lavoro.
La vita familiare è messa a dura prova con la scarsità e la perdita di lavoro. Assistiamo imponenti a scenari vuoti di soluzioni, vuoti di idee, caos di emozioni; non è solo una questione economica.
Saranno in difficoltà coloro che più sensibili all’emergenza nata da Covid19 svilupperanno ansia, angoscia, stress, tristezza. che andranno ad incidere su quella che è l’autostima lavorativa. Già basso di base per la loro natura il livello di autostima, per queste persone credo sarà opportuno affrontare un breve percorso psicologico per capire come gestire diversamente la loro immagine professionale e il loro modo di gestire di conseguenza una eventuale attività lavorativa. Altrimenti correranno il rischio di venire etichettati come incapaci professionalmente, quando invece sono solo in difficoltà nel gestire la loro parte emotiva.
Il lavoro da casa è stato reso possibile, ma ha stravolto le abitudini familiari; sarà da capire come amalgamarlo diversamente nella vita delle persone, nel rispetto degli spazi di vita.
È anche vero che per molti in questo periodo Covid19 il lavoro è stato un fattore di protezione contro l’incertezza dilagante di questo contesto di coronavirus. Il lavoro ha permesso di mantenere una cornice mentale entro cui muoversi che ha garantito stabilità, non solo economica.
Esiste la convinzione che si ha valore se si fa, se si ha un lavoro; poi l’analisi sembra stopparsi. Non si cerca di capire quanto le persone vengano giudicate in base al tipo di lavoro che fanno. Senza preoccuparsi di vedere come il fare incida sulla persona, sulla sua vita sulle relazioni; in molti casi in lavoro rende schiavi di una modalità di comportamento lavorativo che non lascia spazio ad altro.
Credo siano utili, ed in alcuni casi indispensabili, percorsi psicologici per ritrovarsi, per capirsi nella realtà lavorativa, per costruire un progetto lavorativo adeguato. Sino a quando ci sarà l’attenzione prevalente all’aspetto economico, la persona sparirà o riceverà una semplice etichetta lavorativa collegata alla retribuzione. È una visione ristretta.
Oggi dedichiamo più pensieri creativi al lavoro, affinché le persone ne traggano un beneficio soprattutto a livello individuale profondo, con il cuore e con la mente.