Leggendo alcuni articoli sull’argomento, mi chiedo quale sia il valore dello studio nella vita dei ragazzi.
Ragazzi che sono privati di una vita piena di opportunità e soddisfazioni, per rischiare di avere solo un pieno di limitazioni.
Perché il titolo di studio conseguito secondo me offre un grado diverso di apertura mentale verso gli altri e il mondo esterno. Non è il diploma o la laurea come “pezzo di carta” ma sono le opportunità mentali di cui si potrà godere assieme alle angolature diverse da cui poter orientare la propria vita.
Mi ritrovo completamente in queste parole! <Proverò a dirlo in un modo ancora più crudo: per quel che vedo quotidianamente, una parte degli studenti universitari ha un livello di organizzazione mentale che non è, semplicemente, un po’ meno buono di quello degli studenti bravi, ma è abissalmente inferiore, come può esserlo il livello di organizzazione mentale di un bambino di seisette anni rispetto a quello di un adulto. E, cosa ancora più triste, in molti casi il gap appare irrimediabile, in quanto chiaramente legato a percorsi scolastici disastrosi, a occasioni di conoscenza clamorosamente mancate e che difficilmente potranno ripresentarsi. Alla fine degli esami io chiedo sempre “che scuola hai fatto?”, e le risposte che mi accade di ascoltare sono terrificanti: quello che i tanti studenti in difficoltà raccontano sugli insegnanti che hanno avuto, sul numero di supplenti che si sono alternati in certe materie, sui programmi svolti e non svolti, sulle licenze didattiche che tanti prof si sono presi, tutto questo restituisce un quadro della scuola mortificante. Un quadro, sia detto per inciso, in cui non si intravedono più, come un tempo, condizioni di svantaggio sociale, o tragedie familiari e personali, bensì solo prosaiche vicende istituzionali (e spesso familiari) di incuria e superficialità, approssimazione e leggerezza. In sostanza: l’ordinario modus vivendi di una società in cui, di fatto (anche se a parole lo neghiamo), la cultura, la conoscenza, lo studio sono divenuti assai meno importanti di tutto il resto.>
(“La disuguaglianza studia all’ultimo banco” di Luca Ricolfi)
Si investono sempre meno risorse nell’istruzione da parte dello Stato, non mi sembra neanche il caso di dilungarmi sul perché. E’ una certezza. Sono stati ridotti i finanziamenti pubblici alle università.
I ragazzi ci provano talvolta svogliatamente ad iscriversi ad una facoltà con l’intento di farsi mantenere ancora un pò, non hanno capito che si stanno preparando il peggior veleno per il loro futuro. I genitori sin che devono finanziare le spese universitarie si lamentano, quando i figli smettono non battono quasi ciglio, finisocno per usare quei soldi per loro, per le loro necessità di svago…borse, macchine viaggi…
Le tasse universitarie sono aumentate nel corso dei decenni, ma il problema non sembra interessare a nessuno. Aumentate le tasse mentre sono state tagliate risorse per il diritto allo studio. Lasciamo perdere i criteri con cui vengono calcolati i parametri per gli aventi diritto alle borse di studio e di come molti enti che dovrebbero erogare questi tipi di benefici non funzionino….e talvolta non si sa neanche il perchè!
Benissimo spendere soldi in sport per i figli, trasferte sin da piccoli con spese annesse e connesse, preparare il salvadanaio per la moto e la macchina. Siamo arrivati al paradosso in cui tra i ragazzi i modelli non vengono ricercati tra coloro che arrivano faticosamente alla laurea, ma tra quelli che si destreggiano meglio tra i bar cittadini, discoteche e feste varie.
Perché non aiutare i ragazzi già dalle scuole medie e poi dalle prime classi delle superiori ad usare la testa per programmare il loro futuro? Non ci vogliono grosse cifre per elargire istruzioni su come usare la testa.
Molti genitori sono così delusi dalle schifezze che leggono sulle università e sfiduciati sugli sbocchi lavorativi che non inducono i figli a pensarsi in un percorso universitario. Li inducono a orientarsi su corsi professionalizzanti: non ci sarebbe niente di male nell’avere anche percorsi di orientamento lavorativo, dovrebbero però poi esserci reali possibilità di occupazione e non solo scegliere il “meno peggio”.
La responsabilità va anche degli studenti che scelgono di non studiare per la facile (apparentemente) via di fuga verso il lavoro che garantisce i soldi in tasca subito. Co-riflette a tratti un atteggiamento mentale dei genitori, che pur avendo goduto a loro volta della possibilità di studiare, non si sentono le forze sufficienti per “costringere” i loro figli a fare lo stesso, e li condannano al nulla del non studio.
Se alcuni genitori dosassero un po’ meglio le forze di cui sono dotati per indurre i loro figli a studiare, anziché per lamentarsi di doverli mantenere a non fare nulla, eserciterebbero solamente il carico di responsabilità che come genitori c’è donato dalla vita & dalla scelta fatta di diventare genitori. Questi stessi genitori trasmetterebbero ai figli la forza di pensare al loro futuro. Spesso purtroppo non succede perché gli stessi genitori sono avviluppati nel loro caos personale, e condizione ancora peggiore: danno la colpa ad altri.