Questo il mio commento alla seconda puntata:
E’ davvero pericoloso imprigionarsi nel passato, in virtù di vissuti individuali, mai condivisi con nessuno perché non capaci di confronto con le persone attorno a noi, trincerati nei castelli delle favole in cui vediamo solo quello che vogliamo. Davvero infinitamente imprudente.
Rischiare di vivere il presente con pensieri ed emozioni del passato, che magari si appiccicano addosso alle persone che abbiamo davanti nella vita quotidiana, perché non si ha la forza di dire basta. Ma che fatica inutile, con lo stesso sforzo si potrebbe dire: scusa mi sono sbagliato, tu non eri quella che io immaginavo. Non mettere in campo troppe richieste di scuse e perdono, ammettere semplicemente le proprie responsabilità, in modo che anche l’altro elemento della coppia abbia la possibilità di togliere a sua volta il velo che tramuta tutto, per non dover mai dire: ma che cavolo sto combinando? Io qua non ci sto più!
La sensazione dell’abbraccio, tutte le memorie dei migliori abbracci ricevuti, come se ogni volta ti avessero rigenerato da un’altra vita, come si fa a cancellare? Come negare il bisogno dell’essere umano di una relazione soddisfacente, che passa anche attraverso i corpi? Le sfide fatte a coloro che stavano vicini, nello sfiorare il corpo altrui, per una necessità vitale di contatto e non solo per osare mosse azzardate?
Eccovi la terza!
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-cosa fai qui?
Lui si guardò in giro poi ridendo
-cammino? Visto che siamo per strada, si…cammino…
-che stupido, volevo dire cosa fai qui in città..
-Beh, ci vivo?
Si misero a ridere senza una ragione, forse solo per cancellare l’imbarazzo
-a parte gli scherzi strepitosa…
“Si ricorda ancora, mi chiama ancora come mi chiamava allora…”
-sono tornato da Milano da poco…
Dalla borsa sul sedile posteriore spuntava la busta che conteneva le sue analisi, era andata a ritirarle presto verso le 8,30 allo sportello del laboratorio e non poteva fare a meno di ricordare la faccia assolutamente impersonale, quasi invisibile dell’infermiera allo sportello, “deve avere la mia età” era stato il suo unico pensiero, poi si era seduta su di uno sgabello del bar e aveva controllato. Niente, assolutamente niente, tutti i livelli del sangue, il fegato, le transaminasi, tutto normale, tutto entro i parametri di una vita sana e normale… e ci credo, tra diete ipocaloriche, semi Indiani per colazione e insalata a pranzo e cena e poco vino e niente superalcolici e la corsa una o due volta la settimana sarebbe stata solo una maledetta sfiga avere qualcosa che non andava, ma magari ci sperava, niente di grave si intende, ma almeno qualcosina per movimentare un po’ il tran-tran. Che buffo, sperare di avere qualcosa per movimentare la propria vita credo sia il livello minimo di soddisfazione personale a cui uno possa aspirare nella propria vita.
A fianco della propria borsa un borsone di quelli tipo Ikea pieno stracolmo di camice, “visto che vai a fare la spesa me le porti in lavanderia per favore?” e come no…
Tira indietro la testa, si passa le mani tra i capelli “Come diceva mia nonna? Tre sospiri lunghi e passa tutto…vorrei averla al mio fianco adesso, vorrei essere con lei a passeggiare su quel sentiero di campagna in un pomeriggio di Agosto verso l’imbrunire, avere ancora tredici anni, vorrei sentire ancora quei nostri odori, vorrei…”
Un altro squillo del telefono, gira lo sguardo e vede il nome di sua figlia sul display
-pronto
-ciao Ma, sei ancora in giro per la spesa?
“Che ore sono? Da quanto sono qui ferma? Cosa le dico…”