Ospito con immenso onore un racconto di Mauro Selis!
Dalila: l’accumulatrice patologica
“Easy come, easy go”. “ciò che si ottiene facilmente, lo si perde altrettanto
facilmente”
Non sapevo nulla di lei, solo che si chiamava Dalila, un nome biblico che mi
rievocava una vecchia canzone, una storia d’amore e di morte. (Tom Jones :Delilah ).
La donna, pelle e ossa con grandi occhi verde smeraldo, sedeva al bordo di quella
stanza maleodorante e tutta scompigliata, come la sua testa. Dalila era di mezza età,
ma le ingiurie del tempo e della poca attenzione verso se stessa la rendevano, alla
vista, molto più anziana di quel che la carta d’identità enunciava.
“ Ma cosa toccate?, non potete farlo! ” ripeteva all’infinito come una litania , come
un mantra , come -soprattutto- una fissazione semantica.
La donna appariva timorosa, in preda ad una corposa agitazione psicomotoria.
Molti volti sconosciuti erano penetrati- per fare ordine- nella sua casetta rustica alle
pendici della zona collinare della città. Una dimora lasciata in eredità dai suoi
genitori scomparsi da una decina d’anni a poca distanza uno dall’altro.
L’odore era acre, tra tanta sporcizia e oggetti sparsi alla rinfusa, sembrava
praticamente impossibile che un essere umano potesse vivere in quel luogo da così
tanto tempo e con quelle modalità.
Alcuni vicini di casa, allarmati dall’incuria del giardino con le erbacce sempre più
alte davanti alla casa della donna , avevano chiamato le forze dell’ordine.
I vigili avevano poi sensibilizzato un intervento dell’ufficio igiene dell’Asl che, a sua
volta notando la situazione psichica precaria della sventurata donna , aveva allertato il
Servizio di Salute Mentale per un appoggio psicologico.
C’era di tutto in quella casa: due gatti si aggiravano tra metri cubi di cianfrusaglie.
Era chiaro che Dalila fosse affetta da un particolare disturbo ossessivo compulsivo,
ora con più esattezza si parlerebbe di Hoarding Disorder , in italiano disposofobia o
accumulo patologico.
La Disposofobia è un disturbo della personalità tipico di quegli individui che
avvertono un intenso bisogno di accumulare grandi quantità di oggetti, al di là di
ogni razionale necessità. Per chi soffre di questa sindrome, gli oggetti rappresentano
una condizione di mantenimento della serenità e dell’equilibrio interiore. Più sono e
più la persona si difende dalle negatività del mondo circostante.
Il problema centrale è che la persona ha molta difficoltà sia a buttare le cose, sia a
mettere ordine. L’ansia e l’inquietudine interiore emergono soltanto quando il
soggetto è costretto o si trova a dover eliminare qualcosa di suo.
Nell’osservare la casa mi accorsi di un giradischi gettato apparentemente come un
fantoccio inutile sul pavimento, sommerso da vestiti, utensili da lavoro, madonnine di
Lourdes, scatole di scarpe e un carillion con una ballerina decapitata.
Vidi poi, in ordine sparso, tra giornali e scontrini anche fogli ingialliti di spartiti
musicali, un diapason e un metronomo.
Rimasi in una situazione di equiprossimità con la donna e le chiesi, per addentrarmi
nei meandri della sua mente e costruire una relazione, se le interessava la musica.
Dalila, che già da un po’ scuoteva la testa come segnale di diniego per la
situazione creatasi, si bloccò ed abbozzò un sorriso con i pochi denti che ornavano la
sua bocca. Esclamò, fiera: “Mio padre era un professore di educazione musicale e
assieme ascoltavamo sempre i suoi 33 e 45 giri”.
Annuì con profondo interesse. Non vedendo dischi in quel marasma d’oggettistica
implosa, le chiesi se ne avesse ancora di vinili.
La signora esitò un poco , poi mi portò, superando barriere di oggetti, nella camera
vicina ove, facendosi strada tra due pile di libri, aprì un armadio a muro che
conteneva- in modo paradossalmente ordinato- una collezione di dischi e cassette.
“Ecco la collezione di mio padre”, disse con una punta di naturale nostalgia.
Rachele appariva estremamente coinvolta, “Per me accumulare significa preservare
qualcosa che in futuro potrà servire e che forse non mi potrò permettere -disse- questi
dischi li ho lasciati nell’ordine in cui li aveva messi mio papà, non li ascolto da tempo
ma li ricordo praticamente tutti!”
Le proposi, con estrema delicatezza, di farmene vedere qualcuno e di raccontarmi che
cosa rappresentassero per lei. Dalila, dopo un attimo d’incertezza, si cullò tra le
braccia del ricordo ed estrasse il Long Playing di Jerry Lee Lewis “Live At The Star-
Club Hamburg”.“Ero bambina e mio padre mi faceva danzare a ritmo di rock’n roll”.
Prese poi in mano il 45 giri When a man loves a woman degli Spencer Davis Group
e ricordo che ballavamo questo lento tutti e tre abbracciati, mio padre che ripeteva
“Quanto amo queste mie due donne!” La scarna gote era innondata da effluvi di
lacrime, la forte emozione avvolgeva movenze e parole, prese poi il singolo di Mina
de “La città vuota”, che è poi la versione italiana di It’s a lonely town, successo
internazionale di Gene Mc Daniels
Rigirando il vinile in mano mi confessò che quel pezzo lo cantava con sua madre a
cui piaceva parecchio, disse: “ mia mamma era una casalinga tutta dedita al marito –
che ha accudito fino all’ultimo- e a me che ero l’unica figlia”.
Compresi che Dalila percepiva ogni disco di quella collezione come parte della
propria persona e della propria storia, a ogni vinile attribuiva un valore sentimentale,
di fatto era l’unico frammento che avesse coerenza nella sua vita, probabilmente
perché era lo specchio di un tempo radioso per questa gracile persona, mero riverbero
dei suoi genitori. “I miei si amavano veramente, era sentimento vero” mi disse
prendendo il 45 giri Io che amo solo te di Sergio Endrigo:
“Io ho avuto solo te e non
ti perderò, non ti lascerò per cercare nuove illusioni”.”
Questo è il 45 giri con la
canzone che i miei genitori ascoltavano fin da quando erano fidanzati negli anni
cinquanta”.
“Only you can make all this world seem right/
Only you can make the
darkness bright
Solo tu puoi far sembrare giusto questo mondo/solo tu puoi rendere
chiara l’oscurità “
Platters: Only you.
Proseguendo la ricerca tra I cimeli discografici
di famiglia, Dalila mi mise tra le mani il 45 giri “You are my destiny” di Paul Anka
ove risaltava sulla copertina l’autografo con dedica dell’artista. “ Questo disco stava
particolarmente a cuore a mio padre che aveva conosciuto Paul Anka in occasione
della sua partecipazione al festival di Sanremo del 1964” .
“You are my destiny/ You
share my reverie/You are my happiness that’s what you are/ You have my sweet
caress/You share my loneliness/You are my dream come true that’s what you are